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Isolati e controllati: un aggiornamento sulla situazione dei richiedenti asilo in Grecia

In Grecia la pandemia si è rivelata un’ottima scusa per aumentare le violazioni dei diritti umani e inasprire le leggi che prendono di mira i migranti e i richiedenti asilo. Mentre il Paese entrava e usciva dal lockdown, la situazione per le persone che vivono nei campi è rimasta sempre la stessa: per un anno e mezzo sono stati ammessi solo spostamenti minimi e ancora oggi nei campi il coprifuoco è alle 9 di sera. Da marzo 2020 la Guardia Costiera greca, con il supporto dell’agenzia europea Frontex, è stata coinvolta in continui e violenti respingimenti nei confronti dei richiedenti asilo che arrivavano dalla Turchia attraverso i viaggi in mare o attraversando la frontiera. Lo scopo è naturalmente sempre quello di ridurre il numero degli arrivi.

Nel frattempo l’Unione Europea ha finanziato la costruzione di muri alti 3 metri e di un sistema di recinzioni tutto attorno ai campi di accoglienza a lungo termine (che sono diversi dai centri di accoglienza e identificazione) nella Grecia continentale.

A partire dal primo luglio 2021, rifiutare di essere ospitati in questi campi o in altre strutture organizzate dal governo porterà i richiedenti asilo a perdere il sostegno economico che la UE garantisce loro. Inoltre, tre settimane fa un decreto congiunto dei ministri degli esteri e della migrazione greci ha designato la Turchia come paese terzo sicuro per i richiedenti asilo che provengono da Afghanistan, Somalia, Pakistan e Bangladesh. Chi si muove da questi paesi, dunque, non potrà essere preso in considerazione per la richiesta d’asilo, ma verrà automaticamente respinto secondo l’assunto che la Turchia sia un terzo paese sicuro per loro. Questo sistema è già stato applicato a partire dal 2016 ai richiedenti asilo che provengono dalla Siria e ha costretto centinaia di persone in una sorta di limbo legale: la Turchia, infatti, non accetta più deportazioni dalla Grecia dal marzo 2020.

Il campo di Moria e Lesbo dopo l’incendio

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